I magistrati retrocedono sulla violenza di genere?

Il contenuto della sentenza, oggetto di discussione di questi giorni in tutti i giornali e talk televisivi è gravissimo e non già per la decisione sanzionatorio assunto ma per come sono stati rappresentati i fatti. Ovviamente partiamo dal presupposto che sia corretta la ricostruzione dei fatti come viene evidenziata in sentenza dal giudice, non avendo accesso al fascicolo. Tuttavia si comprende subito il pregiudizio misogino nella ricostruzione e quindi si percepisce che tipo di lente ha indossato il
giudice nella narrazione dei fatti. Piccoli incisi, frasi tossiche, (“l’amarezza per la dissoluzione della comunità domestica era umanamente comprensibile), parole stereotipate, ecc che, lasciano una profonda amarezza a chi è impegnato giornalmente su queste tematiche, perché la narrazione (e non decisione!) di questo tipo rovina tutto il lavoro che giornalmente i centri antiviolenza e la rete territoriale antiviolenza porta avanti dentro e fuori le aule di giustizia. La strumentalizzazione dei minori; la derisione della donna che assume consapevolezza di quanto subito dopo il percorso psicologico, annienta il lavoro psicologico che le donne fanno con l’aiuto delle psicologhe dei cav. La gravità quindi è racchiusa nell’esposizione, negli incisi e nelle parole utilizzate che portano a pensare ad una rivisitazione degli agiti violenti, quasi a giustificarli. Invece la violenza maschile ai danni della donna non può essere mai giustificata.
Ritenerla quindi inattendibile solo perchè lo stesso fatto le viene fatto ripetere più volte è solo frutto di vittimizzazione secondaria.
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